«Ad esser buoni, noi non abbiamo a far altro che essere passivi al vero, e seguitar la natura».
«[...] è vano credere che l’uomo possa creare i materiali stessi; egli deve riceverli quali glieli dà la natura per lavorarli col suo scalpello e allogarli secondo un disegno. Ogni qualvolta il politico, non contento di ciò, vuol fabbricare con materiali creati da sé, fa un’utoptopia».
Il principio di passività teorizzato e adottato da Antonio Rosmini (1797-1855) informa non solo la sua ascetica ma pure il metodo filosofico che egli abbraccia: investe l’ambito gnoseologico e ontologico e, di qui, si riverbera sull’approccio scelto per indagare tutti i profili del complesso mondo della politica e del diritto. Il libro è animato da questo assunto, in base al quale si pone uno sguardo nuovo sulle diverse sfaccettature dell’esperienza politica e giuridica così com’è stata indagata dal raffinato acume del Roveretano: dalle relazioni tra la filosofia della politica e la filosofia del diritto al nesso tra la politica e il desiderio, dalla persona nella sua socievole «incomunicabilità» ai fili che legano società invisibile e società visibile e si disvelano nel diritto e nella legge, per giungere agli aspetti più dottrinari inerenti al dispotismo, alla nazione e alla ragion di Stato.