Le diverse tesi avanzate in dottrina circa la natura delle clausole di scelta del foro sono accomunate dal tentativo di ricostruire entro un quadro possibilmente unitario i due elementi connaturati a tale istituto, ovverosia, (i) un comune atteggiamento delle parti volto a indirizzarsi agli organi giurisdizionali di un certo Stato per la soluzione di determinate controversie tra di loro e (ii) il rilievo che l’ordinamento di uno Stato attribuisce al primo elemento in termini di idoneità (a) a far sì che quegli stessi organi esercitino effettivamente il potere di ius dicere su una determinata disputa (c.d. effetto di proroga della giurisdizione) o, da altro punto di vista, (b) a far sì che i giudici altrimenti competenti rinuncino all’esercizio della giurisdizione (c.d. effetto di deroga alla giurisdizione). Nel sistema integrato dal regolamento Bruxelles I come finora strutturato, rispetto agli accordi volti ad attribuire alle corti di uno Stato membro la competenza a conoscere di una determinata controversia, naturalmente, le due prospettive menzionate sub (ii) vengono a coincidere poiché quel medesimo atto se ne occupa allo stesso tempo, disciplinando unitariamente i requisiti affinché nell’ambito dello spazio giudiziario da esso regolato si verifichino entrambi gli effetti descritti sub (a) e (b).
Alla luce dei due elementi essenziali sopra indicati le clausole di scelta del foro sono state inquadrate ora nell’ambito dei negozi giuridici processuali, talora come negozio materiale o sostanziale, in virtù di una supposta analogia di struttura con le clausole arbitrali – o, specialmente in common law, perfino come vero e proprio contratto – dotato anche di natura ed effetti processuali o con rilevanza o oggetto processuale