Le numerose questioni che si muovono intorno al segreto professionale (rilevanza del consenso, notorietà della notizia, incidenza del controllo del giudice sulla dichiarazione del soggetto tenuto al segreto, ecc.) sono state tradizionalmente affrontate prendendo spunto dalle soluzioni proposte dalla dottrina penalistica. È, infatti, opinione diffusa che l’art. 622 c.p. e l’art. 200 c.p.p. costituiscano due facce della stessa medaglia e che la facoltà di astensione sia riconosciuta a determinati soggetti sul presupposto che questi, ove deponessero, commetterebbero il delitto di rivelazione del segreto professionale. Su tali basi, il consenso del titolare dell’informazione riservata e la notorietà della notizia, per limitarsi a taluni dei profili sui quali si è maggiormente incentrata l’attenzione, configurerebbero non solo limiti strutturali alla disciplina sul segreto ma altrettanti criteri di accertamento della fondatezza della dichiarazione con la quale il testimone manifesta la volontà di avvalersi della facoltà di non deporre.
In una ricostruzione alternativa, evidenziate le differenze rispetto alla natura di quanto costituisce oggetto del segreto di Stato e del segreto di ufficio, si è cercato di elaborare una nozione di notizia segreta rilevante ai fini dell'applicazione dell'art. 200 c.p.p. del tutto autonoma e scevra dalle suggestioni derivanti dalla dottrina sostanzialistica.
Movendo dalle implicazioni costituzionali della disciplina sul segreto ed attraverso la delimitazione dell’esatto ambito soggettivo ed oggettivo dell’art. 200 c.p.p., ora esteso a nuove categorie di professionisti, l'oggetto del segreto professionale è stato identificato in una qualunque notizia trasmessa nell'ambito di rapporti intersoggettivi qualificati.
In tale prospettiva, il segreto funge da ostacolo all’acquisizione della testimonianza, superabile solo per effetto di una libera ed insindacabile scelta del professionista che ne è depositario, con esclusione, pertanto, di qualunque potere coercitivo del giudice, basato sul bilanciamento tra esigenze di accertamento del fatto e tutela dei rapporti professionali nel caso concreto.
Sulle stesse premesse, è stato affrontato il tema della prova illecita, per concludere che la violazione del segreto da parte del professionista che vi fosse tenuto non possa determinare l'inutilizzabilità della dichiarazione.