Una delle cause della crisi che ha sofferto il modello applicativo dell’IVA è stato dato dalla crescente perdita di fiducia che gli operatori economici europei gli hanno manifestato: gli stessi soggetti che avrebbero potuto beneficiare di quella garanzia di neutralità che ha da sempre rappresentato il tratto originale del nuovo tributo, e che per questo è diventato comune a tutti i sistemi tributari europei.
L’utilizzo solo formale di tale modello, senza corrispondenza con i soggetti realmente coinvolti in un’operazione effettivamente conclusa, ha prodotto, come prima ed immediata reazione dell’ordinamento quella sanzionatoria, anche penale, per reprimere tali comportamenti.
Tale prioritaria tutela degli interessi finanziari nazionali ha messo in secondo piano gli effetti che la progressiva distanza del modello applicativo dalla realtà economica e giuridica stava provocando, con il proliferare di operazioni inesistenti, soprattutto dal punto di vista soggettivo, pregiudicando così in particolare quella neutralità che deve pur sempre connotare l’IVA nel mercato europeo.
Il “tradimento” del modello applicativo che le operazioni inesistenti provocano è troppo importante per essere ridotto al solo profilo sanzionatorio. Merita invece una riflessione sistematica che da sola la pur ricca giurisprudenza nazionale e europea non può dare: quella di rendere coerenti le diverse patologie del modello applicativo con le differenti forme di simulazione e abuso. Solo così si può garantire la necessaria coerenza con l’onere della prova e con la buona fede che una generica e giuridicamente indistinta inesistenza non è stata in grado di offrire, con sacrificio della certezza e della coerenza dello stesso sistema d’imposta sul valore aggiunto.