L'autore si propone di trattare con sistematicità il fenomeno del cd. jus variandi legale e convenzionale. La problematica dei poteri privati, pur rappresentando in una certa misura un tema classico del diritto dei contratti, è emersa con prepotenza solo nell’epoca recente grazie alle disorganiche discipline settoriali (contratti sui consumatori, credito al consumo, subfornitura, contratti bancari, contratti di viaggio) che hanno innestato nel nostro tessuto normativo alcune previsioni di rilievo in materia. Tale frammentarietà, ad avviso dell’autore, legittima un tentativo di revisione organica della disciplina delle modificazioni contrattuali, che si soffermi in primo luogo sulle questioni dell’ammissibilità delle clausole attributive e dei limiti nell’esercizio del potere. In linea generale, la modifica unilaterale del contratto pare l'ennesimo riflesso dell'involuzione del contratto verso forme non dialogiche: la compressione della volontà individuale, così come nella standardizzazione contrattuale, viene infatti finalizzata alle esigenze dell'impresa e della produzione al fine di consentire una gestione dell'affare secondo standard di efficienza e rapidità. Tuttavia, l'autore individua un ulteriore humus originario dell'istituto ovvero la “durata” e la conseguente necessità di assicurare al contraente, in caso di sopravvenienze, strumenti flessibili di conservazione dell'affare, in apparente contrapposizione con il principio della forza di legge. L’analisi si incentra, quindi, sull’analisi delle finalità e degli effetti dello strumento unilaterale per ricavare, in base ai principi del sistema normativo, i limiti incidenti sulla struttura, sulla funzione e sull’esecuzione del negozio, in una cornice dialettica tra disciplina generale, disciplina dei tipi e discipline settoriali.