Nell’innovare solo marginalmente la disciplina dell’effetto estensivo dell’impugnazione dettata dal codice di procedura penale del 1930, il legislatore del 1988 non ha affrontato e risolto alcuni rilevanti profili problematici dell’istituto, già emersi durante la vigenza dell’abrogata codificazione. La tematica delle prerogative processuali del non impugnante che partecipi al giudizio ad quem, l’annosa questione dei rapporti tra effetto sospensivo e effetto estensivo e la materia degli strumenti mediante i quali far valere la mancata o erronea applicazione della disciplina di cui all’art. 587 c.p.p. sono alcuni tra i più significativi aspetti controversi che avrebbero meritato di essere oggetto di innovazioni o comunque di esplicite previsioni. Alle incertezze interpretative derivanti dall’assenza di una esaustiva regolamentazione la giurisprudenza ha tentato di porre rimedio con soluzioni spesso opinabili alla luce della funzione e delle coordinate normative dell’istituto.
Il presente studio analizza la fisionomia dell’effetto estensivo dell’impugnazione e le problematiche che lo caratterizzano, sottoponendo a revisione critica taluni epiloghi interpretativi consolidatisi in giurisprudenza. L’ultima parte dell’indagine ha ad oggetto il tema dell’operatività del meccanismo in esame rispetto a contesti processuali diversi da quello “ordinario” di cui all’art. 587 c.p.p.: vengono esaminate le ulteriori frontiere di applicazione dell’effetto estensivo e le implicazioni sistematiche da esse derivanti.