Tutela della vittima e giustizia penale sono termini di un binomio che si è fatto sempre più stretto negli ultimi anni. Molti, infatti, sono gli interventi normativi che hanno rinnovato l’attenzione verso una figura che sino a poco tempo fa sembrava pressoché dimenticata dal dibattito accademico.
L’impulso per un ripensamento della posizione della vittima proviene soprattutto dalle fonti internazionali, dall’Union e europea in particolare. Dapprima con la Decisione quadro 2001/220/GAI, e ora con la Direttiva 2012/29/UE, il legislatore dell’Unione ha ridefinito diritti e facoltà di tale fi gura, incidendo su molti aspetti dei sistemi nazionali e sulla loro procedura penale. Dall’osservazione dell’impianto normativo sovranazionale emerge come tra tutte le vittime ve ne siano alcune che meritano un’attenzione speciale e richiedono una sensibilità ulteriore al giurista moderno. Il concetto di vittima “vulnerabile”, elaborato soprattutto in seno all’Unione, indica la strada verso un sistema flessibile, in cui i vari livelli di protezione dovrebbero essere calibrati sulla diversa predisposizione di un soggetto ad essere ferito. La procedura penale italiana viene pertanto messa sotto esame. Tra i vari profili coinvolti, il presente lavoro si concentra sulle forme di protezione contro le lesioni psicologiche provocate dalle modalità tipiche del rito penale, in particolare nel momento in cui una vittima “vulnerabile” diventa fonte di prova. In altre parole, vengono presi in considerazione i tentativi di proteggere la vittima dalla cosiddetta vittimizzazione “secondaria”.