L’analisi svolta dà conto del travaglio ricostruttivo in una materia incerta e ancora in costante evoluzione, quale quella dei contratti derivati.
Rispetto ad una vicenda giuridica tanto controversa, si è avvertita l’esigenza di una riflessione sulla portata applicativa del concetto di aleatorietà, verificando come essa possa operare in rapporto ad un fenomeno contrattuale di così difficile gestione.
La conclusione cui si è giunti è che, nella varietà delle possibili configurazioni di derivati finanziari, è questione di fatto valutare se in tali fattispecie l’alea si elevi a causa giustificativa dell’intera operazione e quindi se la finalità ultima dei contraenti sia quella di speculare; ovvero se l’alea serva a realizzare uno scopo più complesso, quello di neutralizzare un rischio preesistente.
Quella che connota i contratti derivati è, comunque, sia che si tratti di derivati speculativi sia che si tratti di derivati di copertura, un’aleatorietà rinnovata perché mediata dalla convenzionalità.
Il rischio, inteso come possibilità di perdita in occasione del verificarsi di un evento futuro ed incerto, è artificialmente valutato in entrambi i tipi di contratti derivati, perché demanda ad un evento che non preesiste in natura.
Proprio per il fatto che il rischio rinvia a fenomeni non naturali, l’alea nei derivati va definita, misurata e ritagliata dalle parti.
La descritta convenzionalità dell’alea nei derivati, che demanda a fenomeni non naturali e che richiede una sua specifica raffigurazione, pone un’importante distinzione rispetto ai contratti aleatori,in cui l’evento da cui “deriva” il rischio è in rerum natura e non è creato dai contraenti, ma più semplicemente da essi selezionato.
A ben vedere, comunque, esiste in entrambe le fattispecie evocate un nucleo comune: un momento dispositivo selettivo che, nelle prime, crea gli indici rilevatori dell’alea, nelle seconde, li individua, perché già esistenti, sancendone l’incidenza.