L’interesse del legislatore italiano nei confronti del c.d. turismo sessuale rappresenta la naturale conseguenza della crescente attenzione, non solo mediatica, che tale fenomeno ha ricevuto negli ultimi anni. La crescente diffusione di tali movimenti, insieme all’interesse al contrasto mostrato dalla comunità internazionale con l’approvazione di diverse convenzioni in materia, ha infatti spinto il legislatore italiano ad approntare specifici strumenti repressivi destinati a tutelare, in modo particolare, il minore.
Le mete di questi viaggi sono, di norma, delle destinazioni “esotiche”, differenziate in ragione della particolare tipologia di prestazione ricercata. Le conseguenze sociali e culturali indotte da questo tipo di turismo sono però facilmente immaginabili, avvertibili tanto nei paesi d’origine che in quelli di destinazione. Questi comportamenti, infatti, contribuiscono ad alimentare lo sfruttamento delle diseguaglianze di sesso, età e condizione socio-economica delle popolazioni delle mete turistiche, mentre i clienti consentono enormi ritorni economici alle organizzazioni criminali che, sempre più spesso, gestiscono e sfruttano questo redditizio mercato.
Il progressivo interesse della normativa nazionale e internazionale non ha condotto a significativi risultati in termini di repressione del fenomeno. Le organizzazioni dedite a tale attività, infatti, si sono rese meno visibili, approfittando delle lacune normative o di una particolare strutturazione della fattispecie repressiva. Il caso del “nostro” art. 600 quinquies è, in tal senso, emblematico. Sorgono molti dubbi, pertanto, sull’opportunità di continuare a produrre, modificare e abrogare nuove fattispecie, dedicando piuttosto una maggiore attenzione ai contenuti di base del fenomeno.