Il costante interesse manifestato in oltre un ventennio di sperimentazione nei confronti dell’istituto dell’applicazione della pena su richiesta registra una flessione per ciò che concerne i profili impugnatori della decisione conclusiva del procedimento. Se si eccettua l’approfondita ed articolata riflessione sulla revisionabilità della stessa, strettamente connessa al profilo di maggiore criticità del rito - id est, la qualificazione della sentenza ex art. 444, comma 2 c.p.p. - non risolto neppure dalla modifica apportata all’art. 629 c.p.p., piuttosto trascurata appare, invece, l’indagine sullo specifico terreno dei rimedi impugnatori ordinari, specie di merito. Causa, forse, la laconicità del corpus normativo, che si limita a statuire - nel presupposto della consueta ricorribilità ex art. 111, comma 7 Cost. - l’esperibilità del giudizio di seconda istanza nella sola eventualità di «dissenso» dell’organo requirente in ordine alla praticabilità del percorso procedimentale differenziato (art. 448, comma 2 c.p.p.). Eppure, proprio tale generica previsione è per l’interprete stimolo per uno sforzo esegetico di ricostruzione di questo particolare giudizio d’appello, nel tentativo di ricomporne la fisionomia in ragione delle peculiarità della pronuncia impugnata, della giustificazione funzionale del controllo e del complesso dei principi sovraordinati di riferimento. È quanto si propone il presente studio, articolato lungo una serie di direttrici composite che muovono, prioritariamente, dall’esatta perimetrazione dell’area di appellabilità e di legittimazione ad attivare il controllo de quo, per considerare le cadenze procedimentali e gli epiloghi decisori dello stesso, le implicazioni derivanti dall’operatività del meccanismo di conversione dei mezzi di impugnazione ex art. 580 c.p.p., nonché le esperienze di altri Paesi dell’Unione europea – sia di matrice continentale che di common law – caratterizzati dall’esistenza di forme di giustizia negoziata contemplanti, anch’esse, l’attivabilità di rimedi impugnatori.