L’adozione dei sistemi di rating interni da parte delle banche sta ridisegnando la relazione tra impresa, banca e territorio. Spinte dalla volontà di irrobustire il processo di valutazione del credito, le banche hanno destinato importanti investimenti per sviluppare modelli in grado di migliorare la gestione e il monitoraggio del rischio di credito attraverso la raccolta e la successiva elaborazione di una molteplicità di informazioni. Sebbene i principi costitutivi del rating muovano nella giusta direzione di un più equilibrato rapporto tra rendimento e rischio dell’attività creditizia, la sua applicazione ha ampliato, anziché avvicinato, la distanza tra impresa e banca.
Anche a causa della discontinuità prodotta dalle avverse condizioni del mercato, la capacità di lettura dei comportamenti delle imprese e l’individuazione della probabilità di default, ora divenuta la principale metrica del rischio di credito, si sono affievolite. Il set di indicatori di bilancio utilizzati dai modelli per cogliere le performance dell’impresa così come l’esame dei comportamenti finanziari si sono dimostrati incompleti nel discriminare le imprese meritevoli di credito da quelle non meritevoli. L’assegnazione di giudizi di affidabilità basati principalmente su informazioni quantitative (dati di bilancio) e andamentali (comportamento con la banca) ha trascurato le informazioni di natura qualitativa (ovvero quelle capaci di cogliere il posizionamento competitivo dell’impresa e la presenza di competenze chiave) nonché il contesto territoriale in cui l’impresa opera. L’approccio meccanicistico a forte contenuto statistico è prevalso sull’approccio soggettivo (cosiddetto judgmental), guidato dall’esperienza e dalle conoscenze del decisore (ovvero di chi gestisce la relazione con il cliente).
In momenti di difficoltà economica, l’applicazione di procedure automatizzate, che leggono dati storici e trascurano le informazioni non codificate, rischia di non cogliere il potenziale dell’azienda rendendo più difficoltoso l’accesso al credito delle imprese, soprattutto quelle di dimensione più piccola e con minore trasparenza informativa.
I risultati della ricerca, alla luce delle precedenti considerazioni, conducono verso un nuovo approccio definito 2.0 per un nuovo rapporto tra impresa e banca Il volume raccoglie nel suo insieme, i primi risultati teorici ed empirici di una ricerca più ampia durata quasi due anni che ha coinvolto 5 distinti e complementari gruppi di ricerca coordinati dai Proff. Michele Modina, (Università del Molise), Bernardino Quattrociocchi (Università Sapienza di Roma), Vincenzo Formisano (Università di Cassino), Luciana Birdindelli (Università di Chieti-Pescara) e Cristiana Cattaneo (Università di Bergamo).
La ricerca è stata svolta sotto l'egida del CUEIM (Consorzio Universitario di Economia Industriale e Manageriale), che raggruppa oltre 23 università italiane e straniere.