Le missioni di peacekeeping, sempre più numerose dopo la fine della guerra fredda, rappresentano uno dei più importanti strumenti della politica estera italiana. Il paese è tra i maggiori contributori di uomini, strutture e mezzi finanziari per tali missioni, cui partecipa quasi sempre insieme ai suoi alleati atlantici o sotto l’egida dell’Onu o dell’Unione Europea.
Il volume prende in esame la missione Ibis in Somalia, specie con riferimento alla sua dimensione internazionale. Svoltasi dapprima nell’ambito dell’operazione multinazionale Unitaf/Restore Hope, a guida americana, e poi dell’operazione societaria Unosom II, la missione, tra le prime e più importanti esperienze militari dell’Italia all’estero nel secondo dopoguerra, ebbe luogo nella fase di transizione, italiana e internazionale, seguita alla fine della guerra fredda e risentì delle incertezze del momento.
Legata alla Somalia da un secolare e problematico rapporto coloniale e postcoloniale e alle prese con la fine della “Prima Repubblica”, l’Italia incontrò nel paese africano non poche difficoltà, che si tradussero in uno scontro del tutto inedito con le Nazioni Unite, animate da una rinnovata volontà di protagonismo. I responsabili italiani furono allora contrari all’uso della forza, sostenuto invece dal Segretario Generale dell’Onu Boutros Boutros-Ghali e, all’inizio del suo mandato, anche dal presidente americano, Bill Clinton.
La posizione dell’Italia, con l’accentuarsi delle difficoltà della missione, fu tuttavia vista con crescente favore da numerosi governi e dall’opinione pubblica internazionale e, anche a seguito dell’insuccesso di Unosom II, l’Onu avviò il rinnovamento delle operazioni di peacekeeping.
